Questo libro è il risultato di un lungo lavoro di ricerca che Mauro Pierconti fece per la sua tesi di dottorato di cui Francesco Dal Co fu relatore.
Il 1969 è l’anno in cui Carlo Scarpa (1906-1978) arriva per la prima volta in Giappone
L’occasione è l’inaugurazione presso il Tokyo Furniture Salon della “Rassegna del Furniture Design Italiano”, invitato dalla Cassina, coordinatrice dell’esposizione di cui l’ allestimento era firmato dal figlio Tobia Scarpa.
Il Giappone, in quegli anni era realmente un paese all’estremo limite del mondo, lontanissimo da noi e poco conosciuto. Carlo Scarpa nonostante ciò aveva già una buona cultura di questa parte di Oriente, da lungo tempo possedeva libri rari. Uno tra questi “Taccuino giapponese” su cui erano appuntate osservazioni di quelle che confermarono essere le sue mete preferite. Era un estimatore e un conoscitore del Giappone prima ancora di visitarlo personalmente.
Parte proprio da qui la narrazione di Pierconti, con le tappe del viaggio ricostruite grazie ai racconti dei compagni e alle diapositive dello stesso Scarpa, passando da Tokyo ad Hakone, Kyotom, Nara e per concludersi poi attraverso Vietnam, Cambogia, Tailandia. Il tutto impreziosito dai racconti delle affascinanti usanze della tradizione giapponese.
Il volume presenta una serie d’immagini che testimoniano gli interessi, i luoghi, le persone, rivelando come non sia stata solo l’architettura a colpire l’artista. Un quadro di vasta umanità, mista a viva curiosità per ciò che era totalmente nuovo, che non aveva mai visto né sperimentato. Per esempio si descrivono le tecniche tipiche di sostituzione della carta di riso ponendo l’attenzione su come “nella tecnica resiste per l’uomo, il segreto della bellezza”.
E’ indubbia l’influenza proprio di quest’ arte “operaia” nell’attività di Scarpa, che ha concepito l’architettura e il design come un’opera di supremo artigianato in cui c’è sempre stata una costante ricerca della perfezione formale fino al dettaglio quasi invisibile, dove nulla è lasciato al caso, ogni elemento è progettato con estrema cura per forme e materiali.
Non mancano poi i rimandi a Wright e l’analisi di come il Giappone è stato dai due assorbito in modo differente; i riferimenti alle sue realizzazioni più importanti come la Tomba Brion, all’uso della luce e dell’ombra nell’allestimento per Viani alla Biennale di Arte di Venezia del ’52, o nella Gipsoteca di Possagno; il negozio della Olivetti in Piazza San Marco a Venezia, il Padiglione del Venezuela e il giardino del Padiglione Italia, entrambi ai Giardini della Biennale.
Un’esperienza questa che segnò profondamente la sua attività professionale. Un complesso rapporto che si consolidò nel tempo, legò Carlo Scarpa al Giappone, paese che a sua volta con naturalezza ricambiò riservandogli grande attenzione.
Si può concludere come Pierconti fa cominciare questo suo intenso testo di ricerca, citando Okakura:
“Ci vorrebbe un grande mago in grado di estrarre, dal ceppo della società, un’arpa possente le cui corde sappiano risuonare al tocco del genio.”
(T. Okakura, The book of Tea, New York 1906).